L’obsolescenza programmata è un fenomeno che interessa molti dispositivi, da quelli di ultima generazione alle lampadine. Il termine fa riferimento ad una precisa strategia di mercato adottata dalle principali industrie e brand specialmente nel campo dell’elettronica e della tecnologia. Scopriamo di cosa si tratta.
Cosa si intende per obsolescenza programmata
Quello dell’obsolescenza programmata è un argomento molto “caldo” e attuale: ma di cosa si tratta? Semplicemente, essa consiste nell’inserimento, da parte dell’azienda produttrice, di alcuni elementi e caratteristiche nei prodotti tali da rendere il prodotto obsoleto e poco funzionale in un intervallo di tempo stabilito dall’azienda stessa, in modo da evitare la saturazione del mercato e incrementare le vendite di un prodotto simile, ma aggiornato. Le aziende che portano avanti questa filosofia di mercato solitamente sono le stesse a detenere un oligopolio in un determinato settore, in modo da portare i clienti a scegliere sempre i nuovi prodotti lanciati e pubblicizzati piuttosto che tenere quelli vecchi e ormai “fuori moda” o con accessori superati. Come vedremo, la strategia non è per nulla moderna, ma ha radici molto vecchie.
Un po’ di storia
Infatti, la prima obsolescenza programmata venne “realizzata” nel lontano 1924. Proprio in quell’anno i maggiori produttori di lampadine formarono il cosiddetto Cartello Phoebus e decisero di fare in modo che i loro prodotti durassero di meno in modo da incrementare in maniera esponenziale le vendite. Nonostante ciò, il consorzio vide la propria fine al termine della Seconda Guerra Mondiale, ma ciò non bastò a seppellire per sempre l’obsolescenza programmata, che è arrivata fino ai giorni nostri.
Qualche esempio moderno
Come accennato, la pratica viene tutt’ora utilizzata dalle più grandi aziende di successo. Un esempio pratico è quello fornito dai prodotti di Apple: tutti gli smartphone prodotti dalla “Mela” sono fatti con la consapevolezza che questi avranno un ciclo di vita di massimo 3 o 4 anni. Stessa cosa vale per gli iMac, i costosissimi computer e laptop dell’azienda della Silicon Valley: in questo caso, però, i prodotti hanno una durata di 5 anni prima di divenire obsoleti. In questo modo, il cliente è incentivato a comprare prodotti nuovi, con caratteristiche innovative che però non si discostano troppo come specifiche e caratteristiche dai prodotti già in loro possesso. È un esempio l’iPhone X, uscito da pochissimo, ad un costo esorbitante, ma che presenta componenti già di per sé obsolete ed utilizzate da diversi smartphone di aziende rivali già negli scorsi anni.
Le critiche mosse all’obsolescenza programmata
Come è facile intuire, la filosofia dell’obsolescenza ha destato non pochi malumori tra i consumatori e non solo: i clienti, infatti, accusano le aziende di produrre spontaneamente dei prodotti “frode” destinati a rompersi o a divenire obsoleti nel giro di pochi anni. Altra critica è quella mossa dagli ambientalisti: la continua produzione di nuovi telefoni e prodotti elettronici e la loro dispersione genera ulteriore inquinamento, a livelli proibitivi. Inoltre, l’obsolescenza non è una scienza esatta: i prodotti possono durare più del previsto e i clienti, se insoddisfatti, possono decidere sì di cambiare prodotto, ma di affidarsi ad un’azienda rivale. L’arma è quindi a doppiotaglio e rappresenta un rischio per qualsiasi brand.